Se ti stavi chiedendo perché non pubblicavo da un po’, è perché sabato scorso io e
ci siamo sposati. Organizzare tutto da soli ci ha preso tutto il tempo che puoi immaginare, e lavorare a un libro di cui ti parlerò tra qualche settimana mi ha preso il resto del tempo disponibile. Però, da questa strana storia di due vecchie ciabatte che si sposano ho raccolto un paio di pensieri che potrebbero interessarti. Disclaimer: per forza di cose questo sarà un episodio un po’ più personale del solito, spero che ti piacerà. Perché, alla fine, parla del nostro rapporto con le canzoni. Come le scegliamo. E come loro scelgono noi.Quando abbiamo deciso di fare ‘sta pazzia, in Comune ci hanno detto che avremmo potuto scegliere tre canzoni da suonare durante la cerimonia: una per l’ingresso; una per lo scambio degli anelli; una per l’uscita. Tutto molto bello, ma come sintetizzi tredici anni di relazione in tre canzoni? Come peschi da questo enorme cestone tre canzoni adatte alle circostanze specifiche in cui verranno suonate? E come lo fai in modo responsabile, cioè senza imporre agli ospiti qualcosa di fuori luogo solo per il tuo piacere personale? Senti un po’.
Entriamo: You’ll Be Back (instrumental) dal musical Hamilton
Non racconterò tutta la storia del musical Hamilton di Lin-Manuel Miranda: io e Roberta ce ne siamo innamorati da prima ancora che avessimo modo di sentirne la versione incisa in studio - coprodotta, peraltro, nientemeno che da Questlove e Black Thought dei Roots. Quando è uscito il disco, non l’abbiamo mollato più, ed è diventato parte del nostro lessico quotidiano. Oggi è considerato un lavoro tutto sommato ingenuo rispetto al sogno americano, quasi come se l’intenzione dell’autore fosse redimere la storia violenta di uno stato schiavista con il casting color-blind (non è così). Ma io non mi pento di niente: capisco le critiche che gli sono mosse contro, ma gli voglio sempre bene. Certa musica funziona allo stesso modo, come i rapporti con le persone che ami: loro cambiano, tu pure, ma la verità di quel sentimento da cui è partito tutto quanto non viene meno; talvolta non basta, ed è giusto lasciarsi; altre volte è sufficiente a illuminare una strada che, per quanto long and winding, ti porterà sempre a casa.
A proposito di Beatles, Miranda ha spiegato di esserti apertamente ispirato a loro per questa traccia, che viene cantata dal Re d’Inghilterra (british invasion, capito?): mi piaceva che tutta ‘sta bellissima pagliacciata iniziasse con una band che è per forza di cose all’inizio di tante conversazioni musicali, pur essendo in realtà il risultato di un paio di decenni di sviluppo del linguaggio pop - come una relazione che inizia ben prima delle nozze, ma di cui le nozze sono quasi un nuovo inizio. Bisogna aggiungere che questa è la canzone preferita di Roberta tra tutte quelle del musical, e che Re Giorgio, un pazzo despota sanguinario che chiede solo di essere amato (e adorato, e venerato), è il suo personaggio del cuore. Questo dovrebbe dire molto del carattere di Roberta: se non basta, considera che si è sposata con una gigantesca gonna dorata da imperatrice spaziale - vedi sotto. Me la sono cercata.
Sapevamo bene che solo quattro o cinque persone tra quelle presenti alla cerimonia avrebbero colto questa canzone, a maggior ragione perché era la versione strumentale - devi aver passato molti viaggi in macchina a fare il karaoke, come me e Roberta1. Ma qualche volta devi premiare la nicchia, specialmente se si è formata intorno all’amore per qualcosa di assai poco serio.
Anelli, promesse, magoni: My Little Corner Of The World degli Yo La Tengo
Undici anni fa io e Roberta siamo stati al nostro secondo Primavera Sound insieme, alla prima edizione che si è tenuta a Porto. Non devo spiegare cosa sia il Primavera Sound, ma forse devo dire che festival come questo sono stati la mia educazione musicale: non avevo mai visto dal vivo gli Yo La Tengo, per esempio, per quanto ne conoscessi abbastanza i dischi. In quel momento, sono diventati una band del cuore. Quando Georgia si è alzata dalla batteria e si è avvicinata al microfono, qualcuno sapeva già benissimo dove si stava andando a parare. Io no, e quindi sono stato investito da un’ondata di amore pazzesco quando ho sentito My Little Corner Of The World2. Mi è venuto un gran magone, mi sono appannati gli occhi e ho sentito un caldo fortissimo mentre intorno tirava un vento atlantico tutt’altro che primaverile né estivo: in quel momento abbiamo deciso che sarebbe stata la nostra canzone. Non che la si metta su regolarmente, o per occasioni speciali: ma quando capita, ci scambiamo uno sguardo, e io tiro giù un groppo in gola da sette chili.
Fortunatamente, internet conserva ancora qualcosa, quindi su YouTube c’è un video un po’ sbilenco di quell’esatto momento del 2012 in cui io e Roberta ci siamo sentiti come due patatoni romantici: e visto che per il resto siamo piuttosto cinici e sarcastici, bisogna conservare gelosamente momenti come questo. Proprio come si fa con una canzone che viene cantata e cantata di continuo, dal 1960 fino a oggi, quando hai tra le mani una cosa preziosa la devi proteggere e tramandare, curare e condividere: il magone istantaneo per due come me e Roberta è un evento altrettanto raro, e ora è di tutti.
Eravamo consapevoli che la gente delle brigate nonno indie avrebbero colto il valore di questa canzone, ma il fatto che la sua storia partisse dagli anni ‘60 era un modo per omaggiare anche tutti i parenti boomer presenti. Abbracciamoci tutti, insomma.
Usciamo: On Melancholy Hill dei Gorillaz
Tante cose nel rapporto mio e di Roberta sono iniziate così: un po’ per scemenza, un po’ per caso, prendendosi pochissimo sul serio. L’ascolto condiviso di On Melancholy Hill è stato influenzato anzichenò dalla citazione di un lamantino nella seconda strofa: come saprai, nella carriera da disegnatrice di Roberta il simpatico mammifero marino svolge un ruolo importante. Tanto da avergli dedicato una festa, un anno fa.
E poi, questa cosa che è venuta fuori dal mare, improbabile e gloriosa, buffa e adorabile, goffa e stupenda, è diventata qualcosa di serio e di importante. Sto parlando del lamentino, o della nostra relazione, o del nostro rapporto con una canzone dei Gorillaz? Tutte e tre le cose, naturalmente. C’è differenza? Non credo. Nel 2018, a Lucca, abbiamo avuto anche occasione di vedere la band dal vivo - peraltro, per me cento volte meglio del concerto dei Blur al quale avevamo assistito cinque anni prima, pieni di aspettative, se proprio dobbiamo fare un confronto tra progetti di Damon Albarn. E quella sera in piazza Napoleone abbiamo messo alla prova i nostri dotti lacrimali, perdendo: quando è partita On Melancholy Hill ho singhiozzato, ho sorriso, ho abbracciato Roberta. Non si scherzava più.
La canzone sta in un disco che ha un concept piuttosto forte e chiaro, che è ambientalista solo in parte: Albarn ci sta dicendo, per l’ennesima volta, che anche se la vita può arrivare a fare schifo, non bisogna per questo perdere la speranza di incontrare la bellezza e l’amore, non bisogna cedere al pessimismo. In particolare, questa canzone parla di come nei momenti di solitudine forzata, a volta ricercata, quando ci sentiamo bestie ingombranti e scorbutiche che preferiscono stare da sole, in realtà è proprio allora che dobbiamo chiedere aiuto, trovare una compagnia, farci abbracciare, approfittando della nostra morbidezza e stranezza adorabile. Come dei lama/entini. E così ci presentavamo al mondo, con il pezzo più pop, sotto una doccia di bolle. Poi, se devo fare il Pucci della situazione, la canzone ha questo groove tenero ma ambizioso, intermittente ed espansivo, con aperture e dinamiche propulsive, che la rendono una colonna sonora piuttosto fantastica per un’uscita trionfale.
Una canzone che non c’era, per chi non c’era: Senza di te dei Gazebo Penguins
Forse la canzone più importante per me e Roberta, una canzone che abbiamo visto venir fuori grosso modo quando abbiamo cominciato a frequentarci, è Senza di te dei Gazebo Penguins. Ora, io non sono uno da classifiche, ma se mai uscisse fuori una classifica delle canzoni che fanno più piangere della storia d’Italia e questa non contenesse Senza di te, sarei pronto a montare un casino. Io e Roberta abbiamo ciascuno la sua copia del disco che la contiene, l’immortale Legna. Vero, a Sollo e Capra vogliamo tanto bene, ma a prescindere da questo rapporto personale, a quella canzone non gli puoi dire proprio niente. Soprattutto perché non solo parla di quando ti manca qualcuno, ma di quando ti manca un gatto. A noi sono mancati i nostri gatti il giorno del nostro matrimonio. E ci sono mancate molte altre persone. Gianni. Alberto. Annina. Elda. Lidia. Giovanna. Fabrizio. Ornella. Loretta. Carlo. Daniela. Giusto per nominarne alcune. Questa canzone non l’abbiamo messa perché avrebbe decisamente spezzato il flow, perché avrebbe fatto un casino immane dentro la sala dove abbiamo messo “le firme su un contratto”, ma ti assicuro che l’abbiamo sentita di continuo, dentro la testa. E poi non è perfettamente coerente una canzone che non c’è in onore e in ricordo di chi non c’era?
Un po’ più tardi, quando abbiamo iniziato a ballare, c’è stata, però, Trasloco. Che è importante per altre ragioni, come il fatto che Roberta ha collaborato alla realizzazione del video. O perché descrive “la voglia e la paura” di fare una cosa grossa, in due. E noi l’abbiamo fatta davvero grossa. Ma questa canzone non l’abbiamo messa noi, l’ha messa una persona che a questo punto mi costringe a parlare di dj-set.
Come si fa un dj-set matrimoniale?
Non so come si faccia un dj-set in generale, figuriamoci per un’occasione importante come un matrimonio. Però so una cosa: un dj non suona i dischi, suona le persone che ascoltano i dischi. So per certo di non aver mai sentito un dj-set di Fabio De Luca che non mi abbia come minimo esaltato: Fabio, che non ha certo bisogno delle mie presentazioni, conosce la musica non solo per le note che contiene, ma per le persone che unisce e le storie che accompagna; Fabio, come dj, ti suona dall’inizio alla fine, ti porta per mano dal conosciuto all’ignoto, finché non sai più distinguerli. Sono canzoni pop, eh, sia chiaro. Ma - come si dice - è il percorso che conta: e lui sa solcarlo.
Certo, gli chiederai di suonare alcune canzoni che hanno una certa importanza per te e la tua altra persona speciale - le ho messe nella playlist là sopra, quelle che effettivamente sono state suonate, insieme alle quattro citate - ma poi dovrai fidarti di lui e della sua capacità di suonare te.
Scegliere la musica è bellissimo, creare playlist o - immagino - interi set alla consolle è esercitare un potere su un desiderio, e raccontare una storia con le parole degli altri. Tutto fantastico. Ma ancora di più, secondo me, è la musica che ascolti a scegliere te, a sballottarti e farti sentire le cose, a raccontarti storie che non sapevi e ad accompagnarti da un momento all’altro della tua vita, o di una serata. Potevamo scegliere tutte le canzoni del nostro matrimonio? Potevamo esercitare il nostro gusto fino in fondo? No, per me sarebbe stato sbagliato. Dovevamo lasciarci scegliere anche da altre canzoni. Dovevamo farci suonare da un dj. Dovevamo abbandonare un po’ il controllo. Voler bene a un’altra persona, in fondo, consiste proprio in questo abbandono. Doveva andare esattamente così. (Grazie Fabio)
Have you seen her all in gold?
Sposarsi con una donna come Roberta non è una cosa da tutti i giorni. Nessuno di noi se l’aspettava, in effetti. E invece è successo, e vista la rarità dell’evento, lei è venuta vestita come l’autocrate del pianeta Vega, con capelli azzurri e gonna d’oro - she comes in cooolooors. Ora, non c’è certo bisogno che sia io a tessere le lodi di She’s A Rainbow dei Rolling Stones. Ma da quando l’ho vista nella puntata finale di Kristen Wiig a Saturday Night Live ci associo un sovraccarico di sensi ulteriori, non originali. Non è più solo una canzone d’amore mezza stonata (nel senso di stoned), ma è la celebrazione dell’eccezionalità: sei passata nella mia vita, e l’hai cambiata per sempre. A Fabio abbiamo chiesto di metterla all’inizio del dj-set, quando avevo ancora qualche parvenza di sobrietà: volevo godermela. Qui la metto alla fine, perché altrimenti non riesco più a scrivere una parola in più. Tu trova nella tua vita una canzone così: non dev’essere la più bella, non deve entrare nelle enciclopedie; basta che ti riempia di gioia e che ti faccia provare tutte le emozioni insieme. E se c’è una persona che ti fa sentire così, sposala. Oppure no, non sono certo qui a fare lo sponsor di istituzioni patriarcali come il matrimonio. Però, ecco, ci siamo capiti: tienila stretta.
Se questa newsletter parlasse di life-coaching
Dal nostro matrimonio in generale, e dalla sua eccelsa riuscita musicale in particolare, ho imparato una di quelle lezioni che, se Pucci fosse una newsletter di coaching come quella di
, sarebbe stata all’inizio e non alla fine del testo, magari riassunta nel sommario. Ho imparato che, una volta stabiliti i valori di fondo e compiute le scelte più importanti che solo tu puoi prendere, per il resto devi fidarti delle persone con cui stai lavorando, del loro gusto (che è per forza di cose allineato al tuo, se è in virtù di questo che le hai scelte), del loro giudizio. Controllare ogni singolo particolare, fare cioè micromanagement, ti aumenterà soltanto il carico di lavoro e ti tranquillizzerà se sei un ansioso terminale. Ma non sarà necessariamente garanzia di un lavoro ben riuscito. E da quel lavoro non avrai imparato nulla. Mentre in una collaborazione (lavorativa, intellettuale, culturale) come in una relazione di vita, bisogna saper abbandonare il volante e lasciarlo a qualcun altro. Si impara molto, ed più divertente così. E noi non siamo certo persone serie.io e Roberta lo abbiamo poi visto a teatro, Hamilton, a Londra dove i biglietti non costano una fucilata: sotto, un Pucci molto felice
non so te, ma ogni volta che vedo la copertina di I Can Hear The Heart Beating As One penso a Genova: forse era il segnale involontario del destino che avremmo dovuto chiamare un dj genovese a suonare per noi (SPOILER!)
ho pianto. di nuovo
Vabbè, sposarsi con gli Yo La Tengo: idoli!