Tra poco più di un mese è Natale. Il che significa che, se vuoi ricominciare a suonare una decina di volte al giorno Fairytale of New York dei Pogues in onore di Shane MacGowan per fargli avere almeno uno straccio di disco d’oro, puoi iniziare a farlo adesso, e dire a tutte le persone che conosci di fare lo stesso. E, se proprio non riusciamo a mandarla alla cima della classifica, potremmo optare in alternativa per la versione abbaiata da John Waters - sì, il regista John Waters - di Jingle Bells: puoi sentirla qui. Ma passiamo alle cose serie.
La notizia della settimana passata è che sono arrivate le nomination per i Grammy Award, ma ne parliamo nella newsletter di sabato, perché - per via di uno scambio su Threads - questa storia mi ha dato da pensare. Sabato, peraltro, mi troverai a moderare un incontro di BookCity. Ti lascio qui l’indicazione, se ti interessasse fare un salto - sì, si parlerà anche di canzoni.
La prossima settimana, invece, inizia Milano Music Week e potresti trovarmi in giro (tipo giovedì pomeriggio qui, e forse in serata a sentire Fabiana Palladino a Base). Ma arriviamo al dunque, visto che domani escono i nuovi dischi. Qui sotto trovi la playlist New Music Pucci con le canzoni che mi sono garbate la settimana scorsa (qua se usi Apple Music), mentre nel Cestone Pucci trovi tutte le selezioni precedenti (siamo arrivati a 1745 tracce, comode comode).
Cos’è uscito venerdì scorso
Come ai vecchi tempi, è stata una settimana da 600 nuove canzoni ascoltate, quindi abbi pazienza perché sarà lunga. Metti su la playlist e leggi.
⏳ Emma Nolde, NUOVOSPAZIOTEMPO
Una volta conquistato lo spazio, ci è rimasto solo il tempo. Ma finito quello, cosa resta? Il tempo è un luogo che abitiamo ma è anche una risorsa che consumiamo: in entrambi i casi, però, sembra che siamo costretti a un rapporto teso e conflittuale con il tempo: siamo ingabbiati dall’ansia e dal terrore che tutto finisca, e così finiamo per dimenticarci del nostro tempo e ci arrocchiamo per difenderlo. Così, nel mercato dei nostri consumi culturali, abbiamo lotte generazionali senza senso, che non fanno che farcene perdere altro, di tempo. Il tema è complesso, ma dovrebbe essere molto più centrale nelle opere artistiche pop: è difficile non concepire in chiave temporale le polarizzazioni che vediamo intorno, la crisi della salute mentale, e tutte le ansie che associamo al ventunesimo secolo. Fortunatamente c’è Emma Nolde, che a questi temi ha dedicato il suo terzo album, NUOVOSPAZIOTEMPO.
Ho intervistato Emma per la prima volta quattro anni fa, per il primo disco Toccaterra. Poi, un paio di anni fa mi è piaciuto anche il secondo disco, Dormi. Non ci voleva un genio per capire che la musicista-cantautrice-produttrice empolese fosse una promessa: non solo per come scrive, assaporando la stranezza, il caos, il gesto apparentemente “sbagliato” e imprevedibile, ma per il carisma e la facilità con cui incarna quello che scrive; quando la senti, insomma, credi a quel che ti sta dicendo. Perché tutto questo patrimonio maturasse serviva solo del tempo, per l’appunto: non scrivi versi tipo “Perdiamo persone come occhiali da sole” dalla sua eccellente collaborazione del 2021 con Generic Animal se non hai una presa salda sul reale, se non hai l’occhio lungo. Serviva un orizzonte più vasto, che mettesse a servizio della collettività (per così dire) l’eccezionale qualità empatica delle sue introspezioni. NUOVOSPAZIOTEMPO (pubblicato da Carosello, la sua nuova casa discografica) dà una coerenza e una rilevanza, senza bisogno di salire in cattedra per dettarti regole di vita. Il disco è tutt’altro che un concept, chiaro, e soprattutto gode della varietà di mood oltre che di strumentazioni e stili: Pianopiano! ha l’urgenza bestiale di un pezzo di St. Vincent, con l’incastro chitarra-basso-batteria che spinge tutto il resto, e subito dopo Sirene ha l’equilibrio di dinamica quieta, spinta ritmica e aperture melodiche che si trova in una Maggie Rogers. Ma i paragoni (mettici pure Arlo Parks, King Princess, Florence Welch, già che ci siamo) non devono far altro che incuriosirti, invitarti a entrare. Anche perché la naturalezza nella scrittura di Emma Nolde ha pochi eguali: puoi farci caso nella naturalezza carmenconsoliana con cui strofe e ritornelli si incatenano, come facessero parte di un solo discorso (Sempre la stessa storia) e non fossero due elementi stranieri costretti a convivere. Il risultato è che puoi leggere i suoi testi come fossero prosa, e filano pur senza perdere la loro innata musicalità e il ritmo - Emma rappa, quando vuole.
Ma parlavamo del tempo. La maturità di questo disco sta nel fatto che puoi leggere quasi tutte le sue riflessioni da almeno due punti di vista. Per esempio, potresti pensare che Sconosciuti abbia la stessa trama di Somebody That I Used To Know, ma tra le righe del ritornello (“Dove saremo? Chi avremo accanto? Ci sentiremo mai felici più di adesso?”) capisci che l’interrogativo non è rivolto solo a un’altra persona, ma anche allo specchio (Come sarò tra qualche anno? Mi riconoscerò? Cosa penserò della versione più giovane di me?). Non solo capire, ma realizzare la multidirezionalità del significato è purissimo pop, che si manifesta quando sai dire ma anche ascoltare. Emma è in ascolto continuo: dei musicisti che l’hanno accompagnata, compreso il suo socio di scrittura Andrea Pachetti; degli ospiti (Punto di vista con Niccolò Fabi è forse uno dei duetti meglio riusciti dell’anno); del pubblico e delle sue tribolazioni, che ci toccano tutti, giovani o meno. Questo è un disco profondo, navigabile, da non esaurire in un ascolto, e molte soluzioni sonore confermano quest’impressione: tipo la tridimensionalità di Universo parallelo, dove percussioni, rumori, arpeggi, voce principale, cori, tutto occupa uno spazio ben definito e concreto, e lo fa nel tempo, variando di sezione in sezione, anziché scegliere la strada facile (sportellate in faccia, tutto e subito). NUOVOSPAZIOTEMPO non ha la presunzione di arrivare immediatamente, banalizzando il discorso, eppure ci riesce. La penultima canzone, che poi fu il primo singolo, Mai fermi, entra senza chiedere permesso: e per quanto sia assertiva, ha anche l’intelligenza di affrontare con empatia il tema del disco. Il pop per me è questo: la promessa eterna di catturare secoli di pensieri e sensazioni in 3-4 minuti, di incapsulare un mondo dentro due strofe e un ritornello; è una tensione, un’aspirazione, la cui potenza può avere risvolti inattesi, può farti intuire cose anche dopo la fine dell’ultima nota. Basta trovare la pazienza di vivere nel momento.
🧛🏻 claire rousay, The Bloody Lady
Reinvenzione della colonna sonora del film d’animazione dello stesso titolo (Krvavá pani in originale) dell’animatore slovacco Viktor Kubal. Il film parla di una “signora sanguinaria” piuttosto famosa, Erszebet Bathory, contessa di una zona attualmente slovacca dei Carpazi nota per la leggenda secondo cui avrebbe ucciso centinaia di giovani contadine e si sarebbe bagnata nel loro sangue per restare giovane: la sua storia è già legata in qualche modo alla musica, perché esisteva una band metal svedese con questo nome, ed menzionata in parecchie canzoni dello stesso genere - ma anche in questa dei Sunn O))). Nel lavoro di Kubal c’è una certa oscillazione dei toni, tra l’idilliaco e il terrificante, che rende il tutto ancora più angoscioso: e la colonna sonora originale rifletteva in parte questo andamento. Nel remake di claire rousay, artista ambient “emo” che combina grosse pennellate sonore con field recording, viene meno quest’alternanza, ma in compenso i suoni di falò accesi, cicale che friniscono e foglie calpestate, combinati con un uso prevalente di pianoforte e violini, danno al tutto un sapore molto realistico e organico, un’immersione nella follia (vera o presunta) di questo personaggio, anche con un senso di sviluppo (prendi V, forse la più “cinematografica” delle tracce). Altrove, come in VIII, c’è un crescendo poderoso, che pure non toglie al totale un effetto di sospensione. Spero che Hollywood abbia preso nota, perché questa è musica da film senza alcuna accezione negativa.
Altri album
Il disco più bello che faccio fatica a consigliarti perché potresti mandarmi a quel paese è The Crying Out Of Things del duo sperimentale americano The Body: se non hai seguito la loro produzione finora, sono due musicisti da Portland che - in breve - fanno un casino clamoroso; potrei tirare in ballo l’etichetta industrial noise, ma poi dovrei dire anche dub e hip-hop e drone e una dozzina di altre parole inglesi. Quindi ti dico che è un disco mastodontico, pachidermico, surreale, irritante e per queste ragioni molto soddisfacente in un momento storico nel quale ogni cosa che proviamo a fare per rendere più giusta la società e più sicura la vita sul pianeta ci rimbalza contro con il grido di mille faine. Questo disco ti consente di restituire tutto questo schifo, ma ricoperto di una lanugine di distorsione parossistica e lucidato con ettolitri di riverbero.
Non faccio alcuna fatica a consigliarti Tension di Mulatu Astatke con Hoodna Orchestra: il vibrafonista etiope è in formissima dall’inizio (la title-track ti manda in tachicardia) alla fine (la melassa di Hatula e Delilah). Francamente, se ne sentiva il bisogno. Al contrario, i Primal Scream, con l’aiuto di David Holmes (che aveva già prodotto More Light nel 2013), hanno pubblicato il loro primo album da otto anni a questa parte: Come Home è un minestrone soul, funky, disco con al centro la confusione per la situazione politica britannica e mondiale, e il lutto per la morte del padre di Bobby Gillespie, che si può ammirare in una vecchia foto, giovane e ganzo, sulla copertina dell’album. Non è un capolavoro di scrittura, e funziona più negli arrangiamenti, specie quando spinge sul satin, come nell’ultimo singolo Innocent Money dove c’è tutto il cucuzzaro Philly Soul (violini e groove). Quando prova a ricreare Screamadelica o perde totalmente il focus della melodia (False Flags, ma non solo) è una discreta noia.
Area Silenzio è il debutto della band francese eat-girls, che suona un post-punk imbizzarrito, ora tetragono e ombroso, ma più frequentemente spassoso e stralunato (Para los pies cansados, che ho messo in playlist, ha ottime probabilità di entrare in rotazione fissa qui da me). In quanto amante dei treni, non posso che apprezzare l’omaggio a Trenitalia del titolo. Vibe immacolate, come anche nel diversi ma ugualmente delizioso disco indie rock sciallone Lily Of The Valley dei 22° Halo: un disco di chitarre solleticate e melodie sussurrate comodo come un maglione da casa con un buco davanti, ma-chi-se-ne-frega. Pura serotonina, da giorni in cui non succede niente, e questo non ti schiaccia le spalle ma ti fa sentire libero.
L’EP Eazy Peazy del collettivo londinese Man/Woman/Chainsaw è in parti uguale dinamico e catastrofico, un ultimo giro di danze. Se provo a tirare una linea intorno a quello che sta succedendo nel Regno Unito, dalle aspirazioni alte dei black midi/Geordie Greep o Jockstrap alla canzone-drama degli English Teacher fino a questo progetto, credo che a prescindere da categorie e stili si possa parlare di come gli artisti britannici stiano buttando tutto nel cesto, senza alcun riguardo per la coerenza scolastica, rendendo giustizia al pastiche e alla giustapposizione. Noise, free jazz, country-alt-rock, colonne sonore, math-rock: come in un sacchetto della tombola, se infili la mano dentro Eazy Peazy potresti tirar fuori qualsiasi numero. Credo che questo fenomeno (se è un fenomeno) possa dirci qualcosa di cosa sta succedendo nel tessuto psicologico e culturale dell’Oltremanica, in un Paese dove la musica dal vivo sta fallendo, tra le altre cose. O forse mi sono sognato tutto quanto, e la “linea sottile tra grazioso e chiassoso” (definizione della band) è soltanto una tipicità degli M/W/C, che per la precisione rende questo disco un ascolto molto proficuo. Nel qual caso consiglio di partire dalla pregiatissima Ode To Clio, che mette in luce non solo la scrittura che si sta affinando sempre di più, ma l’efficacia a livello puramente sonoro dell’avere quasi una ventina di componenti nel gruppo (da gestire sarà forse meno idilliaco, posso presumere): il violino sinuoso di Clio Harwood nella prima parte, la batteria devastante di Lola Cherry sul finale (anche in EZPZ si fa notare), come personaggi in una commedia vanno e vengono per dire la loro, contribuendo a un tutto che è decisamente superiore alla somma delle parti.
Poi ho sentito Hin helga kvöl della band post-metal islandese Sólstafir, e la traccia che mi è piaciuta di più sembra un incidente ferroviario western, krautrock, black metal, sabbathiano: si intitola Blakkrakki e ti assicuro che se arrivi anche solo una volta al ritornello ti ritroverai sotto la doccia a canticchiare “blakkrakki uaken liven”1. Anche Vor ás e Gryla slappano abbastanza, che sono più stoner/doom e meno black.
The Good Kind del trio londinese Our Girl (il precedente disco era il debutto del 2018) è indie rock più amaro che dolce, ma anche più caldo che freddo, spesso sognante, con alcune soluzioni intelligenti per comunicare il senso di incertezza, smarrimento e frustrazione che la leader Soph Nathan vede nella sua vita queer (senti la chitarra intermittente sopra il violoncello terroso di Unlike Anything). Ma l’esplicito tentativo di empatia di pezzi come It’ll Be Fine e Sister rivela un approccio solidale, ottimista. Con Nathan hanno prodotto “il” John Parish e Fern Ford, e l’ascolto è delizioso, tra voci raddoppiate, arrangiamenti ariosi, chitarre taglienti ma non troppo. E se poi ti piace questo disco potresti dare una chance anche all’EP Vol. 2 dei Former Champ, power pop sentimentale con le chitarre in gaina da Glasgow.
From The Heights Of Our Pastureland dei canadesi Yoo Doo Right è post-rock molto kosmische, in scala di grigi (ma quei grigi te li fa vedere tutti): sembra deprimente, e un po’ lo è, ma ha dentro un paio di tracce tiratissime (Eager Glacier; Ponders End). E poi un po’ di k-pop, con HAUTE COUTURE del trio MiSaMo, spin-off giapponese di Mina, Sana e Momo delle TWICE, che - visti anche le tre bonus track a solo che lo chiudono - sembra molto un rito di passaggio verso le carriere soliste: pezzi brat (RUNWAY), R&B patatoso (Daydream), una cover della stella j-pop Namie Amuro (NEW LOOK) e un banger (Jealousy) bastano per godersi il viaggio.
Italo dischi
Del disco di Emma Nolde ho parlato in cima, perché meritava. Ma è uscita tanta altra roba italiana molto buona venerdì scorso. Che forse è un po’ sfuggita a molti radar.
Go Dugong & Washé, MADRE
Il produttore italiano Giulio Fonseca e il ricercatore venezuelano Carlos Conde si incontrano in un esperimento (perfettamente in continuità con le rispettive produzioni sonore/etnografiche) che ricerca una sintesi tra una cultura che a tutti gli effetti ci risulta primitiva, quella dei popoli dell’Amazzonia settentrionale e delle loro tradizioni artistiche, e la creatività occidentale moderna che viene dagli spazi virtuali delle Digital Audio Workstation. Al di là di avere un mega-tiro (CAÒS ARMONICO con la partecipazione di Clap! Clap! ne è subito un esempio lampante), il lavoro fa pensare molto: siamo certi di essere noi la cultura progredita? Non lo dico per fare del facile primitivismo: letteralmente, gli strumenti, i suoni, i rituali amazzonici sono sedimentati e codificati da millenni, mentre noi ancora dobbiamo fare i conti con le conseguenze delle nostre vite (intellettuali e no) dissociate dalla realtà. Abbiamo molto da imparare, sicuramente in termini di pacca e groove, perché quando inserisce un cromosoma jazz o dance nella soluzione (SELVA, ODA A LA MADRE con Gerry Weil) ti ritrovi attratto piuttosto dalla texture degli strumenti a fiato e delle percussioni, dalla dimensione delle registrazioni ambientali della foresta. Parafrasando Mount Eerie, quando scavi cercando le tue radici scopri che sotto di te ci sono intere cattedrali sopra cui stai poggiando i piedi: Go Dugong va a fondo e scopre che dentro la sua musica c’è perfino più di quanto non si aspettasse. E figurati noi.
Fitness Forever, Amore e salute
Se non lo sai, è un momento d’oro per l’italo-disco, l’italo-funk e tutto il groove tricolore. I Fitness Forever erano qui prima di molti, e con lo spirito giusto per questo genere di musica. Quando li abbiamo sentiti per bene l’ultima volta (2018, Personal Train) stava tramontando l’era dell’ironia e stavano passando dalla cassa artisti indie pop che si prendono troppo sul serio, pronti per Sanremo anziché per il Festivalbar: l’impressione era che d’un tratto la gente avesse smesso di volersi divertire. Ma - come si dice in questi casi - il mondo intorno è cambiato: la nostalgia non fa più tenerezza (ma è ancora fortissima!) e forse nessuno ha più tanta voglia di “parlare con le fragole”, sbagliare gli accenti, e fischiettare Disco Quiz. Eppure - si dice anche così, in questi casi - ce ne sarebbe bisogno: prendi l’inizio di A vele spiegate, con il verbo “strambare” (che sembra inventato per veicolare il concetto di “strambezza”, e invece esiste, nel gergo marinaresco), con “Napoli che tutte le risposte non ha” e capisci che effettivamente si è aggiunto un livello di lettura ulteriore, quasi per non farsi inglobare da un falso entusiasmo, che potrebbe sembrare una gran presa per il culo. E Amore e salute, mi pare, fa i conti con questo. Poi, certo, c’è anche solo il livello del piacere: Ischia (con Peppino Di Capri) è city pop partenopeo smagliante come la chiglia di un aliscafo, e te lo puoi godere così com’è, non c’è problema. Ma c’è sempre il timore di fare la figura del Payaso. Bisogna tenere conto del fatto che “il mondo gira e se ne va”, che “come un Aiazzone svanirà, torpedonerà” (questo sì che è un bel neologismo, da L’Amour): insomma, possiamo essere depressi e sfiduciati, ma senza farlo pesare a tutti. Liberatorio, ma anche accusatorio.
Altri dischi ed EP
Venerdì sono arrivati un paio di EP che aspettavo. Uno è Altre canzoni di montag (il suo album del 2023 dati era nel mio mega-listone di fine anno e ne parlai nell’altro posto): deliziosamente idiosincratico, pop ma intransigente, come la chitarra grassa con cui punteggia il ritornello di Fascicolo. L’altro è QTNM dell’artista avant-pop Yoniro: cyborg-femminismo, una voce disincarnata che potrebbe ricordare Caroline Polachek come Miss Grit, beat tenacissimi, da ballare con lacrime a forma di pixel sulle guance - molto bella la chiusura K glitchosa, irruenta. Inoltre è stata pubblicata la versione deluxe del disco Vitamina Life di Tripolare, di cui ti parlai già dieci numeri fa. Continua a intrigarmi per la generale mancanza di riverenza verso le convenzioni liriche. A tratti è sciocchino, ma pure no (“il mondo va a fuoco proprio come il tuo culo”), e poi suona come plastica sciolta con l’accendino, ma i suoi arpeggi emo di chitarra toccano tasti giusti.
Segnalo uno straordinario esordio: Animale Omega di Perenne, canzoni sinuose, spesso funky ma comunque genuine al punto dell’autodistruzione, prodotte in modo sopraffino (il tastierino di Porto, il ding-ding di Pistole scariche), con attenzione a non suonare banale, scegliendo lo strano pur in un lavoro spesso dolce e accessibile. Una solidissima tracklist e una gran voce pop che ti piacerà se ascolti Marco Castello o Fulminacci: questo me lo risentirò di sicuro. Notevolissimo anche dei giorni liberi, del tempo perso di Jesse The Faccio: il modo in cui guardami, guardami precipita al rallentatore; la semplicità commovente di liberty; il tiro di dimmi. Bella roba.
Sono contorte e affascinanti le quattro tracce di Tender di Nancy Tungsten, già Eli Natali. Alti e bassi nell’EP Per farmi coraggio mi sono buttato dal piano terra dei triestini Katana Koala Kiwi, math-emo sbracato ma meno di quanto dovrebbe permettersi. Potrebbe non avere peso dei Santi Francesi - come si dice - “non mi è arrivato”. Mentre le Canzoni pop di montecchi fanno il loro mestiere, con un po’ di lo-fi e una voce impassibile nonostante il discreto contenuto melodico. E infine, eccellente lo split Selflore + Brina: le due canzoni, Particelle e Valanga, sono catartiche, esplosive, e non banali nel gestire aspettative e dinamiche.
Nella playlist troverai anche
🇮🇹 THAEO, CERIGNOLA CAMPAGNA [lo-fi; gotico rurale; alt-pop]
🇮🇹 Goedi, fenoaltea, Mecna, Rares, BASTA SESSION n°5 [hip-hop; weirdcore]
🇨🇦🇧🇷 BADBADNOTGOOD & Tim Bernardes, Poeira cosmica [bossa-funk; si vola]
🇺🇸 Wussy, Inhaler [alt-rock; shoegaze e ritornelli; cinematico; gasone]
🇺🇸 Lucius, Take a Picture [indie synth pop; viene giù tutto]
🇬🇧 Elbow, Adriana Again [rock; cori da pub; sudore wave]
🇬🇧 Westside Cowboy, Ive never met anyone… [post-post-post-britpop; sbraco’n’roll]
Qualcosa da leggere
Chartmetric ha dedicato2 una delle sue analisi puntualissime ai Nu Genea e alle maniere in cui il funk napoletano sta infilandosi in una serie di trend di ascolto che riguardano anche l’italodisco e la discomusic in italiano: in pratica, forse la vera musica italiana da esportare è quella con il groove
sono sicuro di aver sbagliato i testi, ma non si trovano in giro e non so l’islandese: se qualcunə sa farmi la trascrizione, è benvenutə nei commenti
un mese fa, ok, ma sto recuperando ora gli arretrati di ottobre - seguirà una Pucci Monthly musicale, quando riesco!