Bebo è qualcuno con cui parlare (intervista)
Ho chiesto ad Alberto Bebo Guidetti de Lo Stato Sociale di spiegarmi il suo spettacolo
Non credo di esagerare, se azzardo di aver fatto più di mille interviste a cantanti e musicisti, in più di 15 anni tra giornalismo e blogging. Per un periodo abbastanza lungo ho sostenuto di non essere magari tanto bravo a scrivere di musica, ma a intervistare di musica me la cavavo: senza darmi troppe pacche sulle spalle, penso di essere abbastanza bravo ad ascoltare. Ma ora che da tre mesi son tornato a scrivere e a fare quasi esclusivamente quello, mi manca un po’ intervistare. Quindi, dal momento che avevo bisogno del suo contributo per chiarirmi le idee per un articolo della serie su comico e musicale, ho deciso di mandare qualche domanda a Bebo, cioè Alberto Guidetti de Lo Stato Sociale.
Da poco più di un mese Bebo sta portando in giro uno spettacolo “in prosa”, che interpreta da solo, senza musica, nel quale si apre su cose piuttosto personali: si intitola Qualcuno con cui parlare. Non è una sorpresa assoluta, perché non si tratta del suo primo esperimento teatrale, e in qualche modo vederlo su un palco a parlare ti suonerà logico, se hai visto i live de Lo Stato Sociale (specie nell’ultimo tour). Ma QCCP ha attirato la mia attenzione perché, a guardare gli spezzoni finiti in rete, mi è sembrato di vederci dentro alcuni codici teatrali diversi da quelli del reading o dal recital, generi che tradizionalmente diversi musicisti (da Patti Smith a Massimo Ranieri) hanno intrapreso. La forma era proprio quella del monologo, slegato dalla proposta musicale sì, ma - a mio avviso - avvinghiato ai temi della proposta artistica di Bebo, tout court. Cioè, il monologo (non sempre serio, dettaglio importante) è l’estensione di un discorso partito da lontano, con i dischi ma pure con graphic novel e quant’altro. E dentro ci ho visto soprattutto l’umorismo: non quello di grana grossa della comicità professionale, ma lo strumento che un po’ fa parte del carattere emiliano, un po’ si trova incluso nel manuale di sopravvivenza della nostra sfigatissima generazione, un po’ riconduce (di nuovo) alla proposta musicale de LSS. Volevo capirci qualcosa in più, ed eccoci qua.
(L’intervista, presentata quasi senza editing, si è svolta via mail)
Ma sai che credo sia la quarta o quinta intervista che ti faccio? Che roba.
Punto a diventare il tuo recordman!
Perché hai deciso di scrivere e portare in scena questi sei monologhi?
Sono sei parti di un monologo: sei parti che si parlano tra di loro, ma non sono in ordine cronologico, sono in ordine di senso. Credo che la scelta sia stata guidata in anni da buon lettore prima e buon ascoltatore poi. Sono un maratoneta dell’ascolto non-musicale e seguendo diversi canali YouTube e podcast di divulgazione mi sono reso conto sempre di più dell’importanza dell’ordine di senso per chi ascolta. Sei lì che brancoli nel buio e la timeline alle volte non è fondamentale, così ho pensato che questa “rivelazione” mi avrebbe fatto gioco nel mettere assieme Qualcuno con cui parlare. Le sei parti le ho scritte per me, alle volte sono state pubblicate sui social in forma di post o simili, ma sono tutte parti di un racconto personale e anche intimo in cui cerco di usare le cose che mi capitano per ragionare su altre faccende, più grandi di me. Ho sempre scritto, da quando sono ragazzo, ma sono stato convinto per anni che l’autobiografia e - ancora peggio - l’autofiction fossero una soluzione di comodo. Ho inseguito per anni la scrittura dell’immaginazione, quella d’invenzione, perché ero convinto fosse la suprema forma di potenza della letteratura. Poi l’immaginazione mi è finita, sono stato alcuni anni affacciato “alla finestra” fallendo in ogni tentativo di approcciare qualche storia, fino a quando alcune cose della vita, un po’ spiacevoli, mi hanno travolto. Mi sono detto: vabbè dai, fallo per te. Poi Arianna e qualche amico mi ha dato una spinta nel guardare più positivamente verso quelle pagine, senza derubricare la mia vita a qualcosa di poco importante. Così per questa volta ho messo me stesso al centro del mio racconto, cercando di non occupare tutta l’inquadratura.
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Pucci per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.