Nell’agosto del 1998 l’hip-hop compie 25 anni, e io 13. A quel punto della mia vita avevo già incontrato il rap un po’ di volte, ma non mi sarei mai professato un adepto del genere. Da un annetto almeno il mio amico L. mi tartassava con 2Pac (“si pronuncia tùpac”) che mi faceva ascoltare su questi CD che sembravano tarocchi, forse lo erano, e che aveva il particolare fascino di essere un rapper morto; poco prima, come qualsiasi 12enne che oggi va in fissa con Rhove, mi presi una scuffia per Così Com’è degli Articolo 31, che nell’estate del ‘97 provai a spacciare a tutti i compagni del ritiro estivo di tennis in Trentino, nel quale ero stato infilato dai miei genitori anche se non facevo parte di nessun club di tennis. Poi c’era la camera di mio fratello, miniera inesauribile di musica da “prendere in prestito” e ascoltare mentre, la notte prima della consegna, finivo di corsa le tavole di arte o tecnica: nel suo archivio che a me pareva sterminato c’era già qualcosa, spesso musica arrivata tramite copia in cassetta dei CD che prendeva a noleggio in un negozio di Monza ormai chiuso da vent’anni. Venivo da ascolti ossessivi di grunge e rock alternativo, e ricordo che la cassettina pirata della colonna sonora di Judgment Night colpì in particolare la mia immaginazione: uh, ci sono i Pearl Jam con… Cypress Hill? E chi è… sono questi? (Quel disco compie trent’anni a settembre, peraltro: cinque anni fa Rolling Stone ne raccontò la storia, e se anche uscissi dalla lettura di questo post soltanto con questo link, potresti ritenerti una persona fortunata).
Quando mio fratello portava a casa un CD, un originale intendo, la situazione era seria. The Score dei Fugees era entrato nella sua vita chissà come, probabilmente nel momento in cui il successo del video di Killing Me Softly era diventato innegabile, quindi alla metà del 1996: più o meno, quando l’album viene lanciato dal nulla fino a un passo dalla top 10 dei dischi più venduti in Italia grazie alla spinta di quel singolo. (The Score sarebbe rimasto nella top 30 FIMI per altri 5 mesi, miglior piazzamento #2, che a pensarci fa esplodere il cervello per un disco mezzo rap mezzo haitiano). Non sapendo dell’esistenza delle riviste di settore, che mi avrebbero potuto spiegare cosa stavo ascoltando, dovevo sopperire con l’immaginazione: con il libretto in mano, undici anni ancora da compiere, cercavo di interpretare le note con il mio inglese già piuttosto solido e mi davo ragione di chi fosse chi e che cosa facesse lì dentro nel modo più fantasioso possibile, fingendo di comprendere frasi ed espressioni - tipo “ready or not here I come” già sapevo che veniva cantilenato nei match di nascondino, grazie all’incontro precoce con coetanei americani; . In autunno, quando cominciai a studiare pianoforte, chiesi in regalo il libro BMG Ricordi con gli spartiti “piano e voce” di alcuni successi del 1996: tipo, T.V.U.M.D.B. di Elio E Le Storie Tese e Killing Me Softly (With His Song) dei Fugees - ed era proprio la loro versione, non quella di Roberta Flock, come testimoniava il mio primo incontro con la notazione del rap, vale a dire una ghost note (o nota muta), sulle immortali parole “one time-time”. Forse è ragionando così che non sono mai diventato un b-boy - allora si diceva ancora così.
Quello che assolutamente non potevo sapere era che in quegli stessi mesi molte cose si stavano muovendo nell’accampamento dei Fugees, una serie di scelte e avvenimenti che avrebbero riguardato anche me. Ma non prima di aver cambiato per sempre la percezione che le ragazze afroamericane hanno di sé stesse, e la percezione che l’America intera aveva dell’hip-hop.
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